Tre pilastri (e una scheggia impazzita) per la comunicazione efficace
Obiettivo, ruolo e contesto sono i tre pilastri a cui aggrapparsi quando la comunicazione si fa difficile. Ma il percorso è ricco di insidie.
L'articolo della settimana scorsa si chiudeva così:
Competenza da allenare: fare domande. Perché se il nostro segno comunicativo non è chiaro, il nostro interlocutore ci aiuterà a renderlo più chiaro.
Ma come si fa a fare le domande "giuste"? Anzi, le domande "efficaci"?
Innanzitutto, osservare prima di parlare: per diventare comunicatori competenti è necessario prima di tutto essere degli osservatori competenti, perché nessun segno comunicativo esiste isolato dagli altri.
Il modello semiotico-costruzionista ci insegna varie cose sulla comunicazione, che ripasso brevemente qui:
- il contenuto e il modo sono inseparabili; anzi, è il modo che genera il contenuto;
- il linguaggio cambia la realtà, non si limita a descriverla o a riferirla: fondamentale è quindi l'obiettivo del nostro segno comunicativo, per direzionare l'interazione;
- il ruolo diventa l'altro elemento fondamentale: in ambito aziendale - identità di ruolo ed efficacia sono legati a doppio filo nel definirci come professionisti;
- per scegliere parole e modi coerenti ed efficaci dobbiamo osservare e analizzare il contesto prima di parlare.
Insomma, non c'è un trucco magico o una strategia comunicativa valida sempre e ovunque. Ci vuole molto allenamento, senso critico, tanto ascolto e un metodo che ci permetta di tenere ben saldi questi tre pilastri:
- obiettivo
- ruolo
- contesto
Ricordandoci sempre che non si tratta di tecniche (perché la tecnica per definizione deve essere ripetibile), bensì di stratagemmi comunicativi (necessariamente variabili in virtù del contesto).
Banale, ma non semplice. Perché anche quando siamo sicuri di conoscere bene il contesto e le sue regole, c’è sempre una scheggia impazzita, una variabile che non possiamo controllare prima che accada: la situazione. Ovvero quella cosa imprevista, incerta e indissolubilmente legata alla complessità e alla ricchezza delle interazioni tra le persone.
Distinguere tra contesto (invariabile) e situazione (variabile) ci aiuta a riconoscere quando tra noi e gli altri c'è una effettiva condivisione di obiettivi e quando invece ci limitiamo ad essere nello stesso luogo a fare le stesse cose. È un legame inversamente proporzionale, quello tra contesto e situazione: più siamo padroni del primo, meno dovremo improvvisare per gestire la seconda.
E proprio qui, al confine tra contesto e situazione, si gioca la competenza di comunicazione efficace: null'altro che saper indirizzare l'interazione verso un obiettivo comune.
Le domande sono lo strumento più importante che possiamo imparare ad usare per non improvvisare e non far ricorso al nostro senso comune: per non dire, cioè, la prima cosa che ci viene in mente, farci guidare da emozioni fuorvianti e perdere di vista l'obiettivo di ruolo. L’improvvisazione è nemica della cultura organizzativa perché ci espone alla fretta, all'urgenza e al proliferare di visioni divergenti, che portano poi a conflitti professionali e personali.
Conflitti non certo da demonizzare, ma da rendere il più possibile costruttivi, facendoli diventare sani dibattiti. Grazie alle domande - ancora una volta - dobbiamo riuscire a mettere in moto discorsi e conversazioni che rendano patrimonio comune le singole competenze e che le facciano sviluppare nell'interazione.
Quando analizziamo l'andamento di un progetto o la buona riuscita di una strategia di gestione del cliente, dobbiamo farlo sempre nel contesto di quel progetto, alla luce di una specifica azione comunicativa e riuscendo a descrivere gli aspetti critici o i punti di forza in virtù dell'obiettivo che ci eravamo dati.
Non chiediamoci solo "perché il cliente non è contento?". Spingiamoci ben oltre: "come abbiamo gestito la sua richiesta?". E in quel come, mettiamoci soprattutto la nostra modalità di interazione.
Pur esponendoci al rischio dell'incertezza della risposta (non sapremo mai cosa ci risponderà l'altro finché non ci risponde), le domande ci danno un potere enorme: quello di ridefinire l'incertezza della situazione portandola dentro un contesto a noi familiare.
Tutti, all'interno dell'organizzazione, devono saperlo e poterlo fare, perché l'efficacia non può essere prerogativa di un ruolo soltanto.

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